GUARDARE AL PASSATO: ATTO SECONDO (T)

«Ieri sera è riuscita a placcarmi solo perché ero stanca,» stava brontolando tra sé e sé la chierica, avvolta in un’ampia vestaglia di gusto orientale, mentre scendeva le scale in legno, finemente lavorate, che portavano alla zona notte collocata al piano superiore della casa.

Era la mattina dopo il suo rientro e aveva dormito più del solito, come prevedibile. Quando si era svegliata, Shael doveva essere già in piedi da tempo, perché la chierica non l’aveva trovata al proprio fianco, con suo grande rammarico, nonostante, a giudicare dalle lenzuola ancora stropicciate e disfatte, l’Elfa avesse passato la notte con lei. Lo faceva sempre, quando stavano assieme: a Shael, essendo un’Elfa, bastava meditare per sole quattro ore e ne usciva fresca come se ne avesse dormite otto o più, ma quando erano assieme capitava spesso e volentieri che le si stendesse a fianco per tenerle compagnia. All’Aasimar era mancato quel semplice gesto d’affetto che le indicava quanto la moglie ci tenesse, a lei.

Avrebbe volentieri brontolato un altro po’, se non fosse stata interrotta dalla voce squillante dell’altra donna, che la chiamava dalla cucina, da dove proveniva un profumo anche parecchio invitante, di cui non si era accorta prima. Entrando nella stanza, chiese: «È già ora di pranzo?»
«Eh sì, tesoro,» la rimproverò scherzosamente l’Elfa, «direi sia proprio l’ora di pranzo. Te la sei presa comoda, quest’oggi… spero, almeno, che tu ti sia riposata per bene, questa notte…» aggiunse, mentre finiva di sistemare sul tavolo le ultime cose e si voltava a guardare la moglie, fermatasi sull’uscio a osservarla a sua volta, con un sorriso sul volto. La scout indossava morbidi abiti di fattura elfica, i cui colori le permettevano di mimetizzarsi meglio nella natura, molto adatti alla sua figura; molto probabilmente, com’era suo solito, addosso portava nascosti dei pugnali, ma la loro presenza era ben celata.

«Cosa c’è?» Dandreal scosse appena la testa, in risposta alla domanda della moglie, staccandosi dallo stipite – al quale si era momentaneamente appoggiata con una spalla, a braccia incrociate, per osservarla muoversi elegantemente per la stanza – e le si avvicinò, allungando le braccia per stringersi a lei, con un respiro profondo di soddisfazione.
«Niente,» le rispose, affondando il volto nell’incavo tra la spalla e il collo dell’Elfa, «sono solo felice di essere finalmente tornata a casa, di aver dormito su un letto vero e di poter stare con te.»
Shael sorrise, il volto nascosto dai capelli della moglie. «Sei anche più coccolona del solito,» la punzecchiò, ben cosciente di quanto la chierica fosse espansiva di natura, soprattutto verso quelle persone con cui si trovava più a suo agio.

Questo aveva creato qualche difficoltà, in particolar modo agli inizi della loro conoscenza e, successivamente, della loro relazione, ma con il tempo la scout aveva compreso e accettato il modo di fare della chierica, la quale le aveva dimostrato più volte, e senza alcun dubbio, quanto la amasse.
Solo con lei, comunque, l’Aasimar era così fisica, nonostante la sua innata espansività, trasmettendo con baci, abbracci o un semplice tocco cosa provasse. Anche nei suoi momenti più negativi, Shael rimaneva l’unica persona con la quale Dandreal riusciva a interfacciarsi, avendo imparato a spese di entrambe che escluderla completamente non era un bene… per nessuna delle due.

Stringendosi, se possibile, ancora di più all’Elfa, Dandreal borbottò un «Mi sei mancata,» e le due donne rimasero abbracciate per un bel po’, mentre il cibo si raffreddava sul tavolo, ormai dimenticato. Le mani e le bocche di entrambe si mossero di propria volontà, senza bisogno di ulteriori parole, quasi lo avessero deciso di comune accordo. Le dinamiche del loro ritorno nella camera da letto si persero nella pacata urgenza delle due donne, nel bisogno viscerale l’una dell’altra, nella loro ricerca reciproca e nella riscoperta di sé stesse e della propria partner, prendendosi i propri tempi, senza correre o affrettarsi inutilmente.

«Come stai? Meglio?» Erano a letto, tra le lenzuola disfatte e gli abiti malamente gettati e distribuiti per terra, ancora abbracciate. Shael stava dolcemente accarezzando i capelli della moglie, il capo dell’Aasimar appoggiato sul petto dell’Elfa, tra la clavicola e il seno. Una delle braccia della chierica circondava il busto della scout e Dandreal aveva chiuso gli occhi, quasi a volersi crogiolare meglio nelle sensazioni che stava provando e dalle quali non voleva separarsi tanto presto.
«Molto,» le sussurrò, dopo aver preso un respiro profondo, pieno di soddisfazione. «Non stavo così bene da diverso tempo,» aggiunse poi, puntellandosi con il braccio libero sul letto, per poter guardare meglio negli occhi la moglie.
La coperta scivolò leggermente, scoprendole in parte il corpo nudo e rivelando parzialmente, sulla schiena, una brutta cicatrice frastagliata, ricordo del bruttissimo incendio che aveva ucciso tutta la sua famiglia decenni prima. La mano dell’Elfa, dolcemente, scese fino alla schiena della chierica, sfiorandola quasi avesse paura di farle male, nonostante la ferita fosse ormai guarita da tempo e la cicatrice in sé desse ben pochi problemi alla moglie.

La studiò un attimo, mentre con la mano destra, prima appoggiata sul suo ventre, le accarezzava dolcemente il volto: «Stavo pensando a quanto ci siamo dette ieri sera, a cena. Hai ragione. Non riuscirei mai a rinunciare a salvare più vite possibili. Ma nemmeno mi piace dover rimanere per troppo tempo lontana da te.»
Shael si sistemò meglio sul letto, appoggiandosi più comodamente alla testiera, prima di risponderle: «Se ti può far sentire meglio, Dandreal, posso accompagnarti sotto forma di proiezione astrale… in questa maniera, non dovresti preoccuparti che io mi prenda qualcosa di infettivo.» Non era un'opzione che l’Elfa apprezzasse particolarmente, a dirla tutta, ma se la chierica si fosse sentita meglio nel sapere che niente potesse effettivamente toccarla, in quanto proiezione astrale, allora era disponibile a venirle incontro in quella maniera tutto sommato poco ortodossa.

Con sua sorpresa, Dandreal scosse la testa, prima di risponderle: «Non pensare che io non apprezzi la proposta, Shael, davvero, ma non sarebbe la stessa cosa. Non sarebbe come averti davvero lì con me. E,» aggiunse, sporgendosi quel tanto che bastava per distendersi nuovamente al suo fianco, con la testa appoggiata nuovamente sul petto dell’Elfa, «preferisco di gran lunga preoccuparmi che tu ti possa prendere qualcosa, anziché non averti o averti solo a metà.»
«Sarebbe molto meglio,» sorrise appena Shael, accomodandosi in maniera tale da stringerla meglio a sé, «non preoccuparsi proprio, non fasciarsi la testa prima che qualcosa accada. Non possiamo vivere la nostra vita nell’apprensione costante, altrimenti cosa faremo di diverso dal sopravvivere? Lo so che è la tua natura essere apprensiva, l’ho sempre accettato e lo accetterò sempre. Ma non fa bene innanzi tutto a te esserlo così tanto. Sono perfettamente in grado di prendermi cura di me stessa, nonostante io apprezzi moltissimo quando sei tu a farlo.»

Rimasero così ancora per un po’, abbracciate e coccolandosi, fino a quando lo stomaco di entrambe non brontolò per la fame, costringendole ad alzarsi, di malavoglia, a sciacquarsi e rivestirsi, prima di scendere a scaldare il cibo impunemente abbandonato, in precedenza, sul tavolo.
Quando finirono, l’Aasimar cacciò letteralmente via dalla cucina la moglie, con la scusa che non poteva sempre fare tutto lei e che, dopo una notte di sonno ristoratore, si era riposata a sufficienza da poter fare la propria parte nella gestione della casa.

Scuotendo il capo e sorridendo, Shael preferì non obiettare, occupandosi di sistemare alcune cose della cucina prima di mettersi in una posizione defilata, in maniera tale da non disturbare la moglie nelle sue attività di riordino della cucina.
«Sai, vero, che se avessi fatto comunque io non sarebbe stato assolutamente un problema? Non mi dava fastidio,» le disse, a un certo punto, l’Elfa. «Non è che se, per una volta, tu fai un po’ di meno, soprattutto tornata da un viaggio sfiancante come è stato questo, allora succede una tragedia.»
Dandreal sbuffò appena: «Lo so, tesoro, ma a me non pesa farlo. È giusto che io faccia la mia parte e tu non hai bisogno di trattarmi come se fossi fatta di porcellana.» Passandole di fianco, colse l’occasione per baciarla gentilmente sulla fronte, alleggerendo un po’, così facendo, il rimprovero che le aveva appena fatto.

Mentre la chierica ritornava a sistemare le ultime cose – aveva fatto relativamente in fretta, considerando che la moglie aveva in parte pulito e messo a posto quanto aveva utilizzato per la preparazione del pranzo – Shael cambiò discorso: «Mentre tu eri via, è arrivata una lettera da Caerth.»
«Tuo fratello? Come sta?»
La scout annuì, prima di continuare: «Dice di stare bene. La situazione a Evermeet si è finalmente stabilizzata e ora il Consiglio Reale è ritornato a governare sull’isola – non hanno ancora trovato un degno erede ad Amlaruil Moonflower – e Maerla è entrata a farne parte.»

Caerth e Maerla Silentlight erano, rispettivamente, il fratello e la sorella minori di Shael. Durante la Ritirata Elfica, avvenuta nel 1344 CV, i tre fratelli erano riusciti a fuggire al colpo di stato attuato dal cugino Nakeas ai danni di loro padre, grazie all’aiuto di uno degli Elfi rimasti fedeli alla loro famiglia. Forzati, loro malgrado, a separarsi, erano stati costretti a cavarsela da soli, riunendosi solo diversi anni più tardi.
Caerth si era unito, dopo qualche mese di peregrinazioni, a un gruppo di monaci di Gond, Dio degli Inventori e degli Ingegneri, diventando un abilissimo artigiano – molte delle armi che Shael ora utilizzava erano state realizzate appositamente per lei proprio dal fratello. Dopo diversi anni passati nelle regioni della Costa della Spada, svolgendo il mestiere di artigiano e ingegnere, Caerth si era infine imbarcato alla volta dell’Isola di Evermeet, dove aveva riallacciato i rapporti prima con la sorella minore e, successivamente, la maggiore.

Maerla, la più giovane dei tre, era riuscita a rientrare su Evermeet relativamente in fretta, imbarcandosi in uno dei vascelli elfici che stavano accogliendo a bordo tutti quegli Elfi impegnati nella Ritirata. Si sarebbe lasciata alle spalle una serie di traumi non indifferenti, non da ultimo la convinzione che il padre fosse morto durante il colpo di stato organizzato dal cugino e l’obbligato distacco con i fratelli.
Una volta giunta a Evermeet, la più giovane della famiglia Silentlight si era data alla macchia per il tempo necessario a mettere in piedi una resistenza e indebolire il cugino, fino a quando sull’isola non era arrivata la sorella, che aveva dato una forte spinta al rovesciamento di Nakeas a capo del casato.
Sebbene, a tutti gli effetti, la stessa Shael fosse a capo del casato da quel momento, ad amministrare il tutto era rimasta Maerla, cosa che le era valso un posto all’interno del più alto organo di governo elfico – dal canto suo, Shael non la invidiava affatto, ma considerava la cosa come un’enorme opportunità per riabilitare il nome della famiglia.

«Ma c’è qualcosa che ti turba, non è vero?» Dandreal, dopo aver messo via le spugne e gli strofinacci della cucina, si era avvicinata alla moglie, accarezzandole gentilmente una guancia. Shael annuì, alzando lo sguardo verso la chierica: «Nakeas.»
L’Aasimar comprendeva appieno il turbamento della moglie, era lo stesso che si stava impossessando di lei. Il cugino dell’Elfa aveva creato non pochi problemi, nel corso degli anni, con danni anche permanenti non solo alla scout, ma anche alla chierica stessa. Entrambe, ancora dopo anni dall’ultimo incontro con l’Elfo, dovevano fare i conti con gli incubi e gli strascichi che, nonostante il loro attenuarsi con il passare del tempo e il reciproco e costante sostegno, comunque sarebbero rimasti a segnarle per sempre.

«Cosa è successo? Cosa ti ha scritto tuo fratello?»
Shael non rispose subito, piegandosi piuttosto in avanti fino ad affondare il viso poco sotto il seno dell’Aasimar, inspirando ed espirando diverse volte, mentre l’altra donna si limitava dolcemente ad accarezzarle i capelli, senza metterle fretta.
«È morto,» sussurrò alla fine la ladra, con un filo di voce e un tocco di incredulità serpeggiante tra le parole. «Da quanto riportavano le guardie, aveva smesso prima di mangiare e poi di bere. Era solo questione di tempo, prima che accadesse. Ha quasi aggredito le guardie stesse e il curatore che hanno chiamato per capire cosa lo stesse portando ad agire in quella maniera.»

Prendendo un profondo respiro, permettendosi di avvertire il profumo che caratterizzava la moglie e che aveva, molto spesso, un effetto calmante su di lei, Shael si staccò quel tanto che bastava per alzare il capo e guardare negli occhi l’altra donna: «Fino a quando non mi hai chiesto cosa fosse accaduto in tua assenza, avevo totalmente rimosso la cosa. Non è stato intenzionale, ma evidentemente non riesco ancora a capacitarmi di cosa sia successo…»
Aveva preso a balbettare e a mangiarsi le parole, ma venne interrotta da Dandreal, che le strinse la testa al petto con dolcezza e fermezza allo stesso tempo, mentre chinava la testa a stamparle un bacio sul capo: «Non ti devi giustificare con me, lo sai. So che non è stata un’azione conscia, da parte tua. Parlare di tuo cugino porta sempre in superficie vecchi traumi che anche a me farebbe davvero piacere dimenticare.»

«Non potevi saperlo,» le rispose con voce appena soffocata l’Elfa, «e hai fatto bene a chiedere. Non è mai stata mia intenzione nasconderti niente…»
«Lo so,» la interruppe Dandreal, «davvero, non devi farti problemi, tesoro. Lo so.»
«Sono preoccupata che la sua morte, se vera, possa portare a qualche sorta di vendetta verso la mia famiglia e i miei fratelli,» disse dopo un po’ Shael, quasi vergognandosi di ammettere una cosa del genere.
«I tuoi fratelli sono in grado di cavarsela,» le rispose Dandreal, «e se avessero bisogno, saprebbero dove trovarti. In merito alla tua famiglia,» aggiunse, facendole alzare gentilmente il volto verso di lei, «è qua con te. Come mi dici sempre tu, non è un bene fasciarsi la testa prima di rompersela. Nessuna delle due permetterebbe che accadesse qualcosa all’altra, come abbiamo sempre fatto fino a questo momento faremo in futuro, ne sono certa.» Gli occhi delle due donne rimasero intrecciati: «Confido nel fatto che, finalmente, un nuovo capitolo della nostra vita possa aprirsi, senza essere adombrato dagli atti atroci di tuo cugino e senza alcuna minaccia alla nostra incolumità dai suoi seguaci. La maggior parte dei quali, comunque, è stata ridotta al silenzio da tempo.»

Il bacio che le diede, per quanto non spazzò immediatamente le giuste preoccupazioni che entrambe provavano, sicuramente aiutò ad alleggerire la tensione che si era andata involontariamente a creare tra le due. Nakeas Silentlight, cugino dell’Elfa, era sempre un tema piuttosto spinoso da affrontare, per entrambe, e nonostante fossero state aiutate - e lo fossero ancora - da individui esperti sull’argomento psicologico, il lavoro che entrambe avrebbero dovuto fare era ancora tanto, al netto degli importanti progressi avuti negli anni.

Quando Shael poté alzarsi, in un momento in cui entrambe furono costrette a prendere fiato, istintivamente strinse a sé l’Aasimar, che ricambiò fieramente l’abbraccio, prontissima a perdercisi dentro. Forse era davvero ora di guardare avanti e non più al passato.

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