PROIEZIONI ASTRALI (G)

Mentre i compagni riposavano, dopo il primo, traumatico incontro con le amebe che infestavano la miniera perduta di Phandelver, Shael Silentlight si accomodò, a gambe incrociate, all’entrata della miniera, in una zona ombreggiata dalla massiccia montagna nella quale era incastonato l’ingresso.
Da una delle saccocce appese in cintura, cavò una moneta d’oro piuttosto particolare, presentante su una delle facce la Dea Tymora, il cui culto aveva un folto seguito in gran parte della Costa della Spada. L’oggetto le era stato affidato da Madre Redsora, una sacerdotessa nanica che era stata loro molto d’aiuto sin da quando erano arrivati nella regione e che, a loro volta, avevano aiutato a risolvere alcune faccende spinose.

La moneta, secondo la sacerdotessa, aveva la possibilità di affinare alcune capacità dell’individuo che la possedeva, ma bisognava entrare in sintonia con l’oggetto affinché ciò accadesse. L’Elfa aveva intenzione di sfruttare il poco tempo di riposo che si erano concessi per entrare in meditazione profonda e tentare di fare esattamente quello, nella speranza di riuscire nell’intento.
Prendendo un profondo respiro, cercando di rilassarsi il più possibile e stringendo la moneta in una mano, chiuse gli occhi e iniziò i rituali insegnatigli dalla sua gente per poter entrare in un profondo stato di meditazione, tale per cui avrebbe potuto sincronizzarsi con l’oggetto magico che teneva tra le mani.

Entrare in sintonia con la moneta si rivelò tutto sommato facile, il che le permise di rendersi conto della sua presenza, in qualche strana maniera, ma allo stesso tempo le diede una stranissima sensazione di dislocamento, che in un primo momento non riuscì ad analizzare e a comprendere del tutto. Fu solo dopo qualche istante, quando il momento di disorientamento svanì e i sensi ritornarono a percepire il mondo esterno, che si accorse che era successo qualcosa che non aveva del tutto previsto.

Aprendo gli occhi, si ritrovò in piedi in un ambiente soffocante, tinto da tonalità rossastre e con un pregnante odore di zolfo. Una luminescenza strana, che scoprì solo dopo qualche attimo provenire dal suo corpo, sembrava rischiarare un minimo l’ambiente attorno a sé, rendendolo se possibile ancora più inquietante di quanto già non fosse. Guardandosi il petto, le gambe e le mani, si accorse di avere una figura traslucida, quasi fosse una proiezione astrale, e scosse il capo, cercando di schiarirsi la mente e capire cosa fosse successo.

Un rumore di passi attirò la sua attenzione al corridoio di fronte a sé, dove un gruppetto di persone comparve di gran carriera, senza preoccuparsi di verificare la presenza di possibili nemici o trappole. Ad aprire la fila, un’Elfa in abiti da ladro e una paladina ricoperta da un’armatura sporca di sangue, a indicare come la combriccola di fronte a lei si fosse appena scontrata con qualche soggetto poco piacevole.
Si fermarono tutti di colpo, con la paladina che non riuscì a frenare la propria curiosità e fece qualche passo in avanti, per vedere meglio chi fosse la persona di fronte a loro: «Una proiezione astrale? Qua, nell’Avernus?»

Fantastico, pensò ironicamente l’Elfa, proprio l’ultimo posto in cui vorrei trovarmi al momento. Non bastavano le gallerie della Miniera di Phandalin, la moneta doveva proprio portarmi in un altro posticino divertente. Qualsiasi cosa avesse voluto dire o pensare di ulteriore, fu interrotta dall’avvicinarsi di un’altra figura, slanciata e longilinea, di una chierica Aasimar, seguita da uno strano elefantino volante, che fece per chiedere alla paladina spiegazioni sul perché si fossero fermati, quando il suo sguardo colse la figura eterea di fronte a loro.
«Shael?» Dandreal sembrava incredula quanto incredula era l’Elfa, alla quale mancò poco che cadesse la mascella dalla sorpresa: «Dandreal…? Ma cosa…?»
Eppure, ora tutto si spiegava molto meglio: ultimamente, per riuscire a entrare in uno stadio profondo di meditazione, si aiutava spesso pensando proprio all’Aasimar, che aveva incontrato un anno prima proprio all’ingresso dell’Avernus, e con la quale aveva cercato di mantenere uno scambio epistolare costante. Madre Redsora doveva aver omesso qualche particolarità, per così dire, della moneta che le aveva affidato.

L’Aasimar fece per avvicinarsi ulteriormente, ma la paladina la afferrò per un braccio, bloccandola. Le due si misero a confabulare per qualche istante, poi la paladina lasciò di malavoglia il braccio dell’altra donna, permettendole di avvicinarsi a Shael, mentre gli altri facevano qualche passo indietro. Solo la paladina rimase a portata, in caso qualcosa fosse andato storto e ci fosse bisogno di intervenire tempestivamente.

«Shael,» sussurrò quasi in tono riverente la chierica, «cosa ci fai qua?»
«A essere onesta, non ne sono tanto sicura,» ammise la ladra, «ma immagino che la dea Tymora abbia accolto le mie richieste… anche se non mi aspettavo lo facesse in questa maniera.»
«La dea Tymora?» Dandreal sembrava confusa. «Tu non mi hai mai dato l’impressione di essere una persona particolarmente credente, Shael.»
«In effetti,» sorrise un po’ imbarazzata l’Elfa, «non è che io lo sia particolarmente. Ma in questo caso, non saprei chi o cos’altro ringraziare, per quello che è successo.»

Si guardò un attimo attorno, poi continuò a parlare: «Non so se sei riuscita a ricevere la mia ultima lettera, ma siamo finalmente giunti alla presunta miniera perduta di Phandalin. Nei prossimi giorni potrebbe risultarmi più difficile rimanere in contatto, scrivendoti con costanza. Se sopravviveremo… se sopravviveremo, prometto che mi farò sentire.»
L’espressione di Dandreal si fece indecifrabile, mentre il flusso di parole di Shael non si fermava: «Vedi di non farti ammazzare, per favore. Ricevere tue notizie è sempre piacevole, mi dispiacerebbe dover ricevere quella sbagliata.»

«Farò il possibile,» promise l’Aasimar, continuando a scrutare con preoccupazione crescente la proiezione dell’Elfa: era una sua impressione, o la donna era un po’ sciupata, soprattutto per una persona appena arrivata a destinazione? «Stai attenta lì sotto, okay? Ci tengo a ricevere altre visite come questa finché non riusciremo a vederci di persona. Mmmh?»
Shael assunse, a sua volta, un’espressione indecifrabile: «Non ti prometto di riuscire a uscirne indenne. La prima ameba che abbiamo affrontato mi ha massacrata, se non fosse stato per le ampolle curative. Ho seriamente rischiato di lasciarci le penne. Avremmo bisogno di un chierico… non nego che, se fossi tu, mi sentirei subito meglio, ma so anche molto bene quanto questo non sia possibile.»

Dandreal guardò Shael con occhi colmi di apprensione, pur trattenendo le parole a labbra strette: allora non aveva visto male, l’Elfa di fronte a sé, anche nella sua forma diafana, aveva davvero un’aria più sciupata dell’ultima volta che si erano viste. Poi sospirò: «Vorrei poter venire ad aiutarvi. Se mai riuscirò a uscire di qui, lo farò, hai la mia parola. Mi farebbe sentire più tranquilla… sapere di poterti aiutare in prima persona, di accertarmi della situazione in cui ti trovi. Cerca di non farti colpire di nuovo così, per favore. Non senza la mia presenza.» Odiava sentire la sua voce così supplicante, ma sapeva anche che non poteva controllarsi, era più forte di lei: si preoccupava sempre per gli altri, a maggior ragione se erano persone a cui teneva particolarmente. Come nel caso di Shael, anche se ancora aveva paura ad ammetterlo a sé stessa.

L’Elfa sorrise appena, scuotendo il capo senza malizia: sapeva benissimo cosa portasse Dandreal a rimanere nell’Avernus, e non si trattava della costrizione che le era stata applicata, contro la sua volontà.  Ciononostante era comunque rammaricata dalla situazione, che probabilmente avrebbe accettato meglio se avesse saputo fosse stata  una semplice scelta dell’Aasimar, e non una imposizione.
«Farò in modo di non farmi ammazzare, ma… Dandreal, sai benissimo che sono una scout. Spetta a me andare in avanscoperta, per assicurarmi che non ci siano trappole o altro. È normale che corra più rischi io rispetto ai miei compagni.» Alzò una mano, per prevenire qualsiasi commento dell’Aasimar: «Non ho avuto modo di dirtelo, se non con un accenno nell’ultima lettera: a Cragmaw abbiamo liberato un Lupo Bianco, torturato da un mago completamente fuori di testa… adesso si è con noi, mi segue come un’ombra. Prometto che andrà bene e che ci rivedremo. Per favore, non fare cose avventate, che non ci sono io a proteggerti. La cosa mi mette parecchio a disagio.»

Dandreal sospirò, la ruga sulla sua fronte divenne più profonda. Un sottile alone di ansia le si forma nel petto, ma cercò di respingerlo: «Sarai anche una scout, ma puoi fare la scout cercando comunque di stare attenta. Okay?» Fece un altro profondo sospiro, lasciando che l’aria portasse via con sé il respiro rimasto in gola: «Sono lieta di sapere che questo lupo ti stia vicino. Mi rallegra sapere che qualcuno ti sta proteggendo. E prometto di stare attenta. Non preoccuparti. Cercherò di stare in piedi e guardarmi alle spalle.»

Questa volta fu Shael ad assumere un’espressione profondamente preoccupata, al punto che, istintivamente, si allungò in avanti per afferrare le spalle della chierica, nel tentativo di rassicurarla e, al tempo stesso, sentire fisicamente la sua presenza. Troppo tardi si ricordò di essere una proiezione astrale e che, come tale, non poteva toccare niente e nessuno. A quel punto sorrise amaramente: «I rischi del mestiere. Ma, detto questo, pensi davvero che io non mi preoccupi per te? Non fraintendermi: hai dimostrato ampiamente di saperti difendere. Non dubito che tu ne sia in grado. Ma con loro…»

L’Elfa si fermò un attimo, guardando verso il resto del gruppo sceso nell’Avernus con Dandreal: tra tutti, solo la paladina stava guardando la coppia con espressione interessata, nonostante facesse finta di nulla. Ritornò a guardare Dandreal: «… forse mi sentirei meglio se fossimo assieme. Non sono sicura di riuscire a convivere con l’ansia che questa situazione mi sta mettendo addosso. È ironico, tutto questo.»
Questa volta, a sorridere appena fu Dandreal, soprattutto nel notare il gesto di Shael: anche lei avrebbe davvero tanto voluto poter fare altrettanto, allungare le mani verso l’Elfa., toccarla, sentirla presente. Abbracciarla, anche, ne avrebbe un gran bisogno. Invece si dovette limitare a dirle: «So che ti preoccupi per me, come io mi preoccupo per te.»
Sospirò nuovamente, avvertendo l’impazienza degli altri, ma le labbra le si tesero in un sorriso nettamente più ampio: «E nonostante tutto loro hanno bisogno che io li tenga in piedi. Tu, piuttosto: arriva fino in fondo a questa miniera, così riusciremo a rivederci. E questa ansia la potremo mettere da parte, mmmh? Cerca di stare tranquilla, lì sotto. Ce la faremo, sia tu che io.»

Robin rabbrividì, pensando dove stesse andando a cacciarsi. Era pur sempre un’Elfa, non un Nano: non aveva mai particolarmente amato i posti chiusi, nonostante avesse vissuto a lungo in una città… e comunque, sempre meglio la città che le miniere naniche. Eppure, lei stessa era vincolata, ma da una promessa, come l’Aasimar da una costrizione. La differenza: il libero arbitrio.
Per una frazione di secondo, l’immagine di Dandreal si sovrappose al bosco di fronte l’entrata della miniera nanica: «Non posso rimanere ancora a lungo, a breve dovrò ritornare dai miei compagni. Non farti ammazzare. Se ti dovesse succedere qualcosa, sarei costretta a tornare quaggiù a svolgere un lavoro molto meno piacevole.»

La guardò per alcuni lunghi attimi, ben conscia di non sapere il futuro cosa avrebbe loro riservato e se mai sarebbero riuscite a rivedersi tanto presto.
«Non preoccuparti troppo, per me,» le ripeté. «Tra le due, sei messa peggio tu. Fai occhio al guerriero arcano, dei tuoi compagni è la persona di cui mi fido di meno. Io me la caverò. Nessuno dei miei compagni ha dato fuoco a una statua di cera o ha… diplomaticamente convinto un nobile ad aiutarci come lui.»
Dandreal sorrise, ma questa volta era un sorriso che non raggiunse gli occhi: «Starò attenta. E non preoccuparti per lui, ho tutti gli occhi puntati sul soggetto, non gli conviene giocare brutti scherzi. Andrà tutto bene.»

La chierica era in parte cosciente di star mentendo: sapeva benissimo di essere in un posto orrendo, pieno di morte a ogni angolo, in mezzo… beh, in mezzo al fuoco. Si stupiva quasi che l’Elfa non potesse percepire l’aria soffocante che le circondava, l’enorme pericolosità del fuoco. Era anche perfettamente cosciente che avrebbe fatto di tutto per ritornare in superficie, per vedere Shael di nuovo. E quel pensiero la colpì quasi più dei demoni incontrati poco prima. Ma non glielo disse. Invece: «So che te la caverai. Devi farlo. Intesi?»

Shael guardò con estrema attenzione Dandreal, dietro un’apparente sguardo distratto. Qualcosa non tornava, ma non conosceva molto bene l’altra donna per riuscire a capire appieno cosa ci fosse che non andasse. Aveva già notato, dal loro precedente incontro, che la donna, pur muovendosi con sicurezza e disinvoltura, non si avvicinava mai troppo al fuoco, di qualsiasi natura esso fosse, anche quello del bivacco. L’ultima volta che si erano viste, le aveva allungato il suo mantello, per farla riposare il più protetta possibile, visto che a lei non serviva (e, anche se le fosse servito, se ne sarebbe privata comunque volentieri per lei). Non desiderava, però, mettere ulteriormente il dito nella piaga con domande scomode. Se e quando Dandreal si sarebbe sentita pronta, allora si sarebbe aperta con lei… del resto, ognuno aveva dei segreti. Shael per prima.

Ancora una sovrapposizione di immagini. La ladra si sentì costretta a farle presente che doveva andarsene, anche se in cuor suo non aveva la più pallida idea di come questo sarebbe stato possibile. Si ritrovò a sospirare internamente pure lei: mai come in quel momento avrebbe desiderato rimanere al suo fianco, per aiutarla… anche se non aveva la più pallida idea di come avrebbe potuto farlo, e in merito a cosa. Non riuscì a trattenersi dal fare un’ultima, azzardata raccomandazione: «Stai lontana dal fuoco, intesi?»

Allo sguardo apparentemente indifferente dell’altra donna, per poco la ladra non si scoppiò a piangere dalla disperazione, anche se sapeva benissimo come non fosse il suo posto essere così esasperata nei confronti di una persona conosciuta da così troppo poco tempo. In tutta onestà… saresti pronta ad aprirti così liberamente, con lei? Sei pronta a rivelare la verità sul tuo passato? Sei sicura che lei sia pronta ad ascoltarla e ad accettarla?

A sua insaputa, la stessa chierica stava osservando l’Elfa, furtiva com’era stata furtiva l’altra donna, con la stessa attenzione. Per qualche secondo fu tutta una questione di sguardi e l’Aasimar ci lesse dentro una sana preoccupazione, prima che Robin sospirasse. E Dandreal non poté fare a meno di sorprendersi, delle parole pronunciate dall’Elfa. Era così facile leggerla? Era così evidente agli occhi altrui la sua avversione per il fuoco? Per un secondo ripassò freneticamente a mente le reazioni e le occhiate dei suoi compagni di viaggio e no, si rassicurò del fatto che loro non si fossero mai accorti di niente. Shael, però, lo aveva fatto.

Quel piccolo dettaglio le strappò un sorriso malinconico: essere guardata davvero era senza dubbio una sensazione strana. Piacevole. Non fece in tempo a sorridere più spontaneamente, a risponderle con un «Temo che il fuoco mi circondi, ma farò del mio meglio… grazie. Significa molto, per me,» che l’Elfa cominciò a scomparire, si fece trasparente quasi con un senso di angoscia. Le ultime parole di Dandreal («Troverò un modo per contattarti. Promesso. Stessa cosa tu, okay? Se succede qualcosa, dimmelo. Trova il modo di farlo. Io farò di tutto per venire in tuo soccorso.») l’Elfa non fu in grado di sentirle.

«Non ci sono io a proteggerti, anche solo con un mantello,» aggiunse la ladra, prima di girarsi appena, un movimento apparentemente inesistente nell’Avernus che le catturava l’occhio. Scosse amaramente la testa: la moneta la stava per riportare indietro, senza che lei davvero lo volesse. Prima di andarsene, però, cercò di avvicinarsi il più possibile all’Aasimar: «Se avessi bisogno di me… prova a contattare Tymora. O qualche divinità ‘positiva’, che ti permetta di proiettarti, come ho fatto io. Ti prego.»
In un vano tentativo di sfiorarla, di sentirla reale e, allo stesso tempo, di rassicurarla, la scout allungò una mano. Non riuscì a compiere totalmente il gesto, che si ritrovò nuovamente seduta di fronte all’ingresso della miniera, dove si era accomodata un’ora prima. Una lacrima le scese sulla guancia, incapace di arrestarsi.

L’Aasimar si guardò attorno per un attimo, prima di guardare verso gli altri avventurieri: si trovava all’inferno, circondata da persone che mal sopportava e in quel preciso istante si rese conto di non essersi sentita mai così tanto sola nella sua vita come in quel momento. Quanto le mancasse effettivamente l’Elfa, nonostante si conoscessero ancora così poco. Per un secondo chiuse gli occhi, prese un profondo respiro, e si voltò per tornare dagli altri. Per lo meno, forse, aveva un motivo per cercare di uscire viva di lì.

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